Mi sono imbattuto in Gary Numan casualmente quando a 14 anni suonavo pianoforte ormai da tempo e cominciavo ad appassionarmi ai suoni elettronici. Vado nell’unico negozio di dischi di Pegli, Sonorama – sul Lungomare – dove il proprietario stava sentendo un brano tremendamente affascinante. Malinconico, ma pieno di atmosfera.
“Chi è?” chiedo. Gary Numan… Il brano è Down in the Park.
Qualche giorno dopo avevo tutte le cassette della sua produzione, all’epoca ascoltavo musica solo su nastri e cassette con un Walkman, uno dei primi mai visti a Genova, che prima mio papà e poi mio fratello mi avevano portato da uno dei loro viaggi in Oriente.
Gary Numan ha condizionato molto fortemente un certo modo di ascoltare e di fare musica che mi ha portato fino a oggi. Adoro la sua essenzialità, il suo essere algido e distaccato. Il suo lancinante stile di creare riff essenziali estremamente evocativi. É un grandissimo musicista, capace di influenzare personalità come Trent Reznor, Dave Grohl, David Bowie, Brian Molko. Un po’ come Jaz Coleman (Killing Joke) è il mentore, spesso sconosciuto o ignorato, di decine di autori di successo che gli devono una enormità. Un pioniere. Il primo. Uno che si ostina a suonare con strumenti anni ’80 nonostante le stesse case che li hanno prodotti ormai abbiano campionato ed esteso quei suoni vecchi in modalità digitale. Lui invece prende le tastiere semianalogiche degli anni ’80, le restaura e le porta sul palco così come sono…
Con gli anni, grazie anche a un’unica intervista strappata nel 2006 durante una micropromozione di Jagged che lo porta al Transilvania di Milano ho imparato a conoscere i suoi chiaroscuri. Una persona molto difficile che solo in tardissima età grazie alla moglie, una fan che lo ha sempre seguito e che ha sposato nel 1997 dandogli tre figlie, sembra aver trovato una certa serenità.
Lo vedo dal vivo per la sesta volta: cinque delle quali all’estero. In Italia non si è visto praticamente mai. Il suo concerto del Roundhouse di Londra – locale per altro splendido, con la sua immensa balconata e il larghissimo e comodo parterre – è un biglietto da visita della sua grandezza. Band estremamente elettronica e dura nella quale spicca Steve Harris, polistrumentista visionario ed etereo che lo segue da molti anni e che dal vivo è davvero incredibile nella sua teatralità.
Il concerto è meraviglioso e abbraccia tutta la storia di Numan rielaborando i suoi classici in modo moderno ma fedele. Suona tutto quello che avrei desiderato sentire. Raramente negli ultimi anni, ascoltando così tante cose dal vivo, sono stato più felice di aver fatto chilometri per assistere a un semplice show di 100 minuti scarsi.
Gary Numan – Roundhouse – Londra – Concerto n.1593
Setlist
- M.E.
- Me! I Disconnect From You
- Films
- We Have a Technical
- Do You Need the Service?
- Engineers
- Observer
- Praying to the Aliens
- Tracks
- Conversation
- It Must Have Been Years
- You Are in My Vision (con Raven Numan)
- When the Machines Rock
- Complex
- Down in the Park
- The Machman
- Metal
- Only a Downstat
- We Are So Fragile
- Cars
- Are ‘Friends’ Electric?
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